Stefano Cirrito: Clarinettista e Preparatore Mentale per MusicistiDalla Frustrazione alla Libertà: Un Viaggio di Musica e Mindfulness

Stefano Cirrito, clarinettista con oltre 20 anni di esperienza, racconta come la mindfulness ha trasformato la sua vita musicale. Oggi aiuta musicisti a superare il blocco da performance e a migliorare il loro equilibrio mentale e tecnico.

Mi chiamo Stefano Cirrito, sono un clarinettista con oltre 20 anni di esperienza e, per molto tempo, mi sono definito un musicista incompleto.

Il mio viaggio musicale è iniziato a 12 anni nella fanfara del mio paese. Quasi per gioco, ho scoperto una passione che mi ha spinto, appena un anno dopo, a entrare nel Conservatorio Cherubini di Firenze per studiare il clarinetto seriamente. Da subito, mi sono reso conto di avere una certa facilità nell’apprendimento, e i miei insegnanti lo confermavano. Tuttavia, presto ho incontrato un ostacolo che molti musicisti conoscono bene: il "blocco". Durante gli esami e i concerti, le mie prestazioni non erano all'altezza del mio reale livello tecnico. Nonostante fossi considerato uno degli studenti più promettenti, il palco sembrava amplificare la mia ansia e la mia insicurezza.

Potevo suonare magnificamente durante le prove, ma in pubblico, spesso, l'ansia prendeva il sopravvento. Anche nei momenti in cui riuscivo a esibirmi bene, provavo una costante sensazione di malessere: notti insonni, pensieri ossessivi e una frustrazione che non mi abbandonava. Dopo il diploma nel 2000, nonostante una breve carriera concertistica, accompagnata da numerosi riconoscimenti, la mia situazione emotiva non migliorava. Ogni concerto, ogni concorso era un terreno minato, dove la paura di sbagliare superava il piacere di suonare. Ero intrappolato in un ciclo di perfezionismo e insoddisfazione, e questo mi ha spinto gradualmente a rifugiarmi nell’insegnamento, evitando il palco e i concorsi.

Ma c’era una domanda che mi tormentava continuamente: perché in alcuni momenti sembrava tutto facile, mentre in altri sembrava impossibile suonare? Cosa scattava nella mia mente che rendeva una performance un successo o un fallimento?

La svolta è arrivata con la scoperta della mindfulness, una pratica che ha cambiato radicalmente il mio approccio alla musica e alla performance. Grazie a un allenamento quotidiano, sono riuscito a osservare con più chiarezza i meccanismi mentali che si attivavano durante l'esecuzione. Ho capito che, paradossalmente, i miei migliori risultati arrivavano quando ero "distratto", quando permettivo al corpo di eseguire ciò che aveva già imparato durante le ore di pratica. Al contrario, quando cercavo di prendere il controllo consapevolmente, l'errore era dietro l'angolo. Questa realizzazione mi ha portato alla prima grande risposta: il corpo ha una sua memoria e, se gli diamo fiducia, può fare esattamente ciò per cui è stato allenato.

Col tempo, ho compreso che il mio modo di approcciarmi alla musica era troppo analitico, troppo concentrato sul controllo. Questo impediva al mio corpo di esprimere liberamente ciò che sapeva già fare. Il risultato era una performance bloccata, rigida. La chiave era spostare il mio focus: essere presenti sì, ma senza forzare il controllo, senza interferire con il processo naturale che avviene quando il corpo e la mente lavorano in armonia.

Il focus è tutto. Come dice un antico detto: "Un musicista mediocre ascolta ciò che ha appena suonato, un bravo musicista ascolta ciò che sta suonando, e un musicista eccellente ascolta ciò che suonerà". Per noi musicisti, raggiungere un livello di coerenza tra il nostro potenziale tecnico e musicale e le nostre prestazioni pubbliche è assolutamente possibile. Ma serve equilibrio tra mente e corpo, tra analisi e spontaneità.

A questo punto, mi sono imbattuto anche nelle teorie di Ivan Galamian, uno dei più grandi pedagoghi del violino del XX secolo, maestro di leggende come Itzhak Perlman e Pinchas Zukerman. Galamian divideva lo studio in tre parti fondamentali: una concettuale, dedicata a come vogliamo che il pezzo suoni, una tecnica, incentrata sull’apprendimento della meccanica dello strumento e del corpo, e una dedicata alla pratica della performance. Quest’ultimo aspetto, che spesso trascuriamo, è invece essenziale, perché suonare in pubblico è un’abilità diversa dal semplice studiare. In pratica, analizziamo, ci fermiamo, ripetiamo. Sul palco, però, dobbiamo spegnere il pensiero analitico e fidarci del lavoro già svolto.

Qui ho trovato una delle risposte più importanti: noi performiamo in pubblico esattamente come pratichiamo in studio. Se nella mia preparazione mi concentro solo sull’analisi, trascurando la pratica dell’esecuzione, sarà inevitabile trovarmi in difficoltà sul palco, dove è richiesta spontaneità e fiducia. La performance è un’abilità che si impara, e possiamo migliorarla esattamente come miglioriamo la nostra tecnica.

Questa scoperta ha segnato l'inizio di una nuova fase della mia vita e della mia carriera. La mia vocazione è diventata quella di condividere questi concetti e aiutare i giovani musicisti, così come quelli più esperti, che si trovano intrappolati nel terrore di esibirsi. Oggi, oltre a insegnare clarinetto, lavoro come preparatore mentale, specializzato in mindfulness e appassionato di psicologia della performance. Attraverso corsi, workshop e consulenze individuali, aiuto i musicisti a ritrovare la fiducia in sé stessi e a vivere la musica con più gioia e serenità, insegnando loro come affrontare l'ansia da palcoscenico e migliorare le loro prestazioni grazie a un approccio olistico che unisce tecnica, mente e corpo.

La psicologia dello sport ha dimostrato da anni come si possano migliorare le prestazioni. Anche per noi musicisti, l'obiettivo è diventare ogni giorno un po' migliori di ieri e offrire sempre la nostra versione migliore.

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